#EppureMilano
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Ricordi d’infanzia nella Milano di una volta

Milano ricordi di una voltaMilano come la conoscete voi, quella caotica, grigia, puzzolente e austera mi ha stufato.

A volte la gente mi chiede perché mi ostini a raccontare di Milano come se l’amassi davvero e quando rispondo che io l’amo davvero, fanno fatica a capire il perché.
Allora mi sono detta che probabilmente oltre che raccontare di lei oggi, dovrei fare un passo indietro e parlarvi dei ricordi che affollano la mia mente e che vanno ad unirsi in un unico grandissimo puzzle; sapete quelli complicati, con i pezzettini piccolissimi ma belli da morire?
Ecco, il puzzle della mia vita.
Ho molti ricordi della mia città che stridono con quello che di lei si dice in giro, sarei contenta di regalarvene un po’ per farvi capire come ci si sente a crescere in una città come Milano.

Due cuori e una bottega di frutta e verdura

I miei nonni materni, con i quali sono cresciuta, avevano una bottega, una di quelle vere che adesso quasi non vedi più in giro per la città. Una di quelle con le due bancarelle con i teli verdi e le cassette della frutta esposte sulla strada che mio nonno doveva controllare prima che i passanti allungassero un po’ troppo la mano, e se succedeva li rincorreva anche con la scopa.
Avvolgevano gli ortaggi nei fogli di giornale e facevano i conti a mano su foglietti stropicciati.
Io, dal canto mio, giocavo a vendere da dietro il bancone che allora mi arrivava sopra la testa, arrivavo alla cassa agevolandomi con una panca, dividevo le monetine per ogni scomparto assicurandomi che le cinque, le dieci e le venti lire non fossero sparse altrove.
Mi riempivo la pancia di noccioline rubate da un sacchettone enorme di plastica quando il nonno non mi vedeva.
Mi ritiravo nel retrobottega solo quando mia nonna mi chiamava e il profumo di sugo al pomodoro avvolgeva l’aria. Facevo grandi sonni pomeridiani sulla poltrona guardando Pollyanna e Papà gambalunga.

Il bianchino delle undici dopo la partita a rubamazzetto

Mi ricordo le lunghe e calde mattinate d’estate, quelle così cocenti che struggono l’asfalto della strada che portava il segno dei tacchi delle belle donne di città.
Ricordo mio nonno paterno, che abitava proprio nella via dietro alla bottega, che ci raggiungeva per passare un po’ di tempo con me.
Entrava e alzava il suo bastone in segno di saluto e mia nonna rispondeva “Buongiorno Signor Carlo“, ci sedevamo al tavolo e giocavamo a rubamazzetto. Vincevo praticamente sempre, ma quasi mai per la mia bravura.
Poi ad una certa ora della mattina si alzava e andava a farsi un bianchetto nel bar all’angolo e io lo accompagnavo tenendo per mano lui e mia nonna. Poi proseguivamo verso la salumeria dove mia nonna ordinava un etto e mezzo di crudo dolce dalla sua salumiera di fiducia: la Gioconda.
Prosciutto buono così, non ne ho mai più mangiato.

Il mercatino in cortile con gli amici

Dai miei nonni ho fatto amicizia con tutti i bambini dello stabile: quando si è piccoli ci si mette un niente a conoscersi, basta un “posso giocare?” e il più è fatto.
Ricordo che nel cortile giocavamo a fare il mercatino e insieme mettevamo su una vera e propria attività redditizia: costruivamo le bancarelle con le cassette in legno, quelle della frutta che i miei nonni non usavano più e provavamo a vendere oggettini vecchi, figurine e quant’altro.
Il bottino veniva degnamente speso in succosi ghiaccioli comprati dal lattaio.
A proposito, che fine hanno fatto i lattai?vecchia-latteria a Milano

Il giro ai giardini pubblici

Ai giardini pubblici ci andavo con mia nonna e con la sua amica Luigina che, per strani giri del destino, ora sta a Las Vegas.
Per giocare non avevo bisogno di chissà che, mi bastava qualche sassolino fatto scivolare dallo scivolo e le altalene create con i copertoni delle ruote d’automobili. No, non vivevo nel Bronx… Era Milano ma un po’ meno artefatta.

La crostatina e le focacce del prestinaio all’angolo

Il panettiere lo si chiamava prestinaio e per me era più o meno la città dei balocchi.
Quando ero piccola non mangiavo un granché, da non credersi, ma quello che mi faceva letteralmente impazzire erano le sue crostatine di frutta con la crema pasticcera in mezzo.
Mi piaceva andarle a prendere all’angolo della strada e farmele mettere nel tipico sacchetto bianco, quello su cui ci si poteva scrivere le ordinazioni: perché allora il pane non si congelava, si passava a prenderlo fresco ogni giorno.

Il ghiacciolo a cinquanta lire

Come dicevo poco fa, il ghiacciolo si prendeva dal lattaio che stava a pochi metri dalla bottega dei miei nonni. Lì ci si conosceva tutti e non c’era neanche bisogno di chiedere il mio gusto preferito.
Un ghiacciolo costava circa 50 lire, o forse qualcosina in meno.
Rientravo in cortile e mi sedevo tutta felice sulle gradinate delle scale a gustarmelo fino a che il bastoncino sapeva solo di legno.
E la vita era ancora più bella.
Sì, anche qui a Milano.
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Scritto da Stefania Pozzi

Da grande vorrei viaggiare e scrivere di viaggi, nel frattempo provo a viaggiare e a scrivere di viaggi. Social Media Specialist, Travel Blogger e Founder di diquaedila.it

Ci sono 3 commenti

  • […] miei nonni, le persone che mi hanno cresciuta, ci hanno sempre vissuto e io ho avuto la fortuna di vederla quando le cose erano un pochino diverse, diciamo più vintage. Ci ho lavorato, ho avuto modo di impazzire in mezzo al suo traffico e di […]

  • Serena scrive:

    Questo post è un viaggio nel passato,
    nelle cose che sanno di buono.
    Il ricordo dei nonni e del mondo che ci ha fatto da cornice in quegli anni non svanirà nel tempo, ma a volte mettere le parole nero su bianco fa bene al cuore.
    Brava Stefy.

    • Stefania Pozzi scrive:

      Sì, sento di aver concesso un po’ di me, quel tanto che svela momenti della mia vita privata di cui sono gelosa, ma l’ho fatto perché mi va di condividere questa bellezza. Probabilmente non tutti capiranno, sono sensazioni troppo personali e cariche di sentimento per toccare persone che non le hanno vissute. Ma va bene così, come dici tu: mettere nero su bianco i ricordi fa bene al cuore! Grazie per essere passata!

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